Esercizio di disidentificazione e autoidentificazione
Lo scopo dell’esercizio è disidentificarsi dai pensieri, dalle azioni, dai problemi del quotidiano, disidentificarsi almeno parzialmente da quello che è il nostro ego.
Hola! Oggi vi saluto così.
Vorrei parlarvi dell’esercizio di disdentificazione/autoidentificazione di Roberto Assagioli, psichiatra e psicoterapeuta del secolo scorso.
Perché un esercizio di identificazione? perché un esercizio di questo tipo? Che cosa è?
Potremmo vederlo come un esercizio mentale, una meditazione.
Qual è lo scopo di questo esercizio?
Lo scopo dell’esercizio è disidentificarsi dai pensieri, dalle azioni, dai problemi del quotidiano, disidentificarsi almeno parzialmente da quello che è il nostro ego o i nostri ego (perché secondo Assagioli non c’era un solo ego ma c’erano più ego) e cercare il più possibile di centrarsi nel qui e ora.
Serve soprattutto per identificarsi in uno stato che sia il più possibile vicino a quello che è la natura del nostro sé; lui (Assagioli) lo chiamava Io (il Sé) ed essere quindi il meno possibile identificati invece con le nostre attività mondane, la nostra pseudo identità..
Può essere utilizzato …durante la giornata, oppure …recitato e utilizzato come parte del nostro iter di meditazioni.
E’ un esercizio molto potente che mi piacque subito la prima volta che lo incontrai. Può essere utilizzato in modalità dinamica, cioè durante la giornata, quindi per disidentificarsi o per prendere distanze e distacco da una problematica del quotidiano oppure può essere utilizzato in maniera più statica; cioè recitato e utilizzato come parte del nostro iter di meditazioni.
Se lo facciamo prima di svegliarci oppure prima di andare a , sempre come parte del nostro in parte dei nostri esercizi di meditazione quotidiana, in tal caso ha uno scopo diverso che è quello di prendere proprio un punto di vista differente e iniziare la giornata in maniera più distaccata ma pronta nel contempo.
È un esercizio adatto a tutti, non serve aver fatto un percorso accademico formativo particolare.
È un esercizio adatto a tutti, non serve aver fatto un percorso accademico formativo particolare. Lo consiglio sempre a chi lavora con me da svolgersi all’inizio di una sessione individuale oppure prima di una sessione di gruppo, di un cerchio sciamanico. Proprio lo temere una sorta di di identificazione della mondanità e concentrarsi in se stessi è utile per tutto, utile per affrontare la vita in maniera differente, è utile anche per prepararsi al lavoro sciamanico, al lavoro artistico e su se stessi. Porta a una ferma quiete interiore, questo è molto importante: riuscire a raggiungere una maggior quiete interiore sia mentale, che emotiva, che fisica; ci permette di connetterci il più possibile con il nostro sé e creare un filo diretto cielo terra. Aiuta a volte anche a ridurre quello che chiamiamo dialogo interno, quel sistema di pensieri voluti non voluti che in taluni casi affolla la nostra mente e non ci permette di vivere nel qui ed ora l’esperienza del momento.
Scelgo di recitare l’esercizio leggendolo direttamente dalle pagine del libro. Preferisco non usare un gobbo, preferisco non utilizzare un’altra forma di lettura a distanza perché non voglio che vi concentriate sul mio brutto muso (che non serve a niente! eheheh) ma mi interessa di più che voi vi concentrate sulle parole; infatti la mia immagine andrà a sfumare e comparirà direttamente il testo dell’esercizio.
Farò due parti del video: nella prima parte ci sarà l’esercizio in modalità esattamente come concepita da Assagioli, quindi come riportata del suo libro “l’Atto di volontà” ma con la potete trovare anche altrove via internet su altri siti; poi farò una seconda versione nell’esercizio in modalità “Peverada” che ha un taglio più “ sciamanico “ cioè come viene utilizzato da me in ambito sciamanico prima di una sessione privata, di un cerchio, prima di un lavoro di gruppo.
Ci tengo a dire che comunque sia il come suggerisce lo stesso Assagioli l’esercizio può essere personalizzato come volete, io stesso lo recito spesso metà a memoria metà in parte “canalizzato” .
Personalizzato in base alla situazione, sia nelle sessioni individuali che ai lavori di gruppo automaticamente a volte mi viene da eliminare certe parti e inserisco poi alcune frasi o alcuni concetti direttamente al momento che vanno sempre in risonanza nei confronti di presenti. Ciò avviene per andare a ”toccare” in maniera visibile invisibili parti del loro essere e dei loro percorsi per la crescita mia e chiaramente delle persone che vengono coinvolte.
Bene! Possiamo partire con l’esercizio, mettetevi comodi e concentrati e ascoltate:
Io ho un corpo ma non sono mio corpo, ho delle emozioni ma non sono le mie emozioni, ho una mente ma non solo la mia mente.
“Io ho un corpo ma non sono il mio corpo. Il mio corpo si può trovare in varie situazioni di salute o di malattia, può essere riposato o stanco, ma non ha niente a che fare con me stesso, con il mio vero io. Io valuto il mio corpo un prezioso strumento di azione e di esperienza nel mondo esterno, ma è solo uno strumento. Lo tratto bene, cerco di tenerlo in buona salute ma non è me stesso. Io ho un corpo ma non sono il mio corpo.
Adesso chiudete gli occhi richiamate brevemente alla coscienza alla sostanza generale di questa affermazione e concentrate gradualmente la attenzione sul concetto centrale “io ho un corpo ma non sono il mio corpo”, cercate per quanto è possibile riprendere coscienza come di un fatto sperimentato. Adesso aprite gli occhi e procedete nello stesso modo con i due stadi seguenti.
Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni. Le mie emozioni sono varie, mutevoli, a volte contraddittorie. Possono passare dall’amore all’odio, dalla calma all’ira, dalla gioia al dolore, e tuttavia la mia essenza – la mia vera natura – non cambia, “io” rimango. Sebbene un’ondata d’ira possa temporaneamente sommergermi, so che con il tempo passerà; dunque io non son quest’ira. Poiché posso osservare e comprendere le mie emozioni e poi imparare gradualmente a dirigerle, utilizzarle e integrarle armoniosamente, è chiaro che esse non sono me stesso. Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni.
Io ho una mente ma non sono la mia mente. La mia mente è un prezioso strumento di ricerca e di espressione, ma non è l’essenza del mio essere. I suoi contenuti cambiano continuamente mentre essa abbraccia nuove idee, conoscenza ed esperienza. A volte si rifiuta di ubbidirmi. Non può dunque essere me stesso. È un organo di conoscenza sia per il mondo esterno che per il mondo interno, ma non è me stesso. Io ho una mente, ma non sono la mia mente.
La fase infine seguente è quella di identificazione, affermate lentamente con concentrazione:
dopo aver disidentificato me stesso e l’Io dai contenuti della coscienza, quali sensazioni, emozioni, pensieri, riconosco ed affermo di essere un centro di pura autocoscienza. io sono un centro di volontà, capace di osservare dirigere ed usare, tutti i miei processi psicologici e del mio corpo fisico.
Concentrate la vostra attenzione sulla realizzazione centrale: “io sono un centro di volontà e di pura autocoscienza”. Cercate per quanto è possibile di prenderne coscienza come di un fatto sperimentato, poiché lo scopo dell’esercizio è quello di ottenere uno specifico stato di coscienza, appena questo scopo è stato compreso molti particolari del procedimento possono essere eliminati. Così dopo aver fatto l’esercizio per un certo periodo (e alcuni potrebbero farlo fin dall’inizio) lo si può modificare passando rapidamente e dinamicamente attraverso ogni fase della disidentificazione usando di ogni fase solo la affermazione centrale e concentrandoci sulla sua realizzazione esperienziale.
È quello che dicevo prima, quando parlavo del fatto che canalizzo o comunque mi soffermo solo su alcuni aspetti, e ne introduco altri.
Io ho un corpo ma non sono mio corpo, ho delle emozioni ma non sono le mie emozioni, ho una mente ma non solo la mia mente.
La disidentificazione può iniziare anche dei possessi materiali ad esempio: io dei desideri ma io non sono i miei desideri…
Questi sono passaggi centrali per Assagioli e sintetici.
A questo punto è importante considerare più profondamente la fase di autoidentificazione in questo modo.
Ricapitoliamo: prima mi disidentifico, poi mi identifico.
Allora io che cosa sono? che cosa rimane quando mi sono disedintificato dal mio corpo, dalle mie sensazioni, sentimenti, desideri, mente e azioni? L’essenza di me stesso: un centro di pura autocoscienza, il fattore permanente nel flusso mutevole della mia vita personale.
È questo che mi dà il senso di essere, di permanenza, di equilibrio interiore.
Io affermo la mia identità con questo centro e ne riconosco la permanenza e l’energia.
Io riconosco ed affermo me stesso quale centro di pura autocoscienza ed energia creativa e dinamica. E riconosco che da questo centro di vera identità possa imparare ad osservare, dirigere e armonizzare tutti i processi psicologici e il corpo fisico; voglio raggiungere una coscienza permanente di questo fatto in mezzo alla vita di tutti i giorni ed usarlo per aiutarmi a dare alla mia vita un significato in un senso di direzione crescenti.
Come suggerisce Assagioli l’esercizio può essere modificato in modo adatto secondo il proprio scopo e le esigenze esistenziali aggiungendo delle fasi di disidentificazione al fine di includere altre funzioni oltre alle tre fondamentali: fisica, emotiva, mentale… così come ruoli, subpersonalità e via dicendo.
La disidentificazione può iniziare anche dei possessi materiali ad esempio: io dei desideri ma io non sono i miei desideri, oppure io mi impegno varie attività, interpreto vari ruoli nella vita, ma non sono i miei ruoli.
Adesso canalizzerò poco ovunque esprimerò una versione più personale basta sulla mia esperienza però più adatta, ulteriormente adatta, a chi lavora con lo sciamanesimo e ve la reciterò in questo momento.
Possano le mie guide sostenermi in questo processo, possano i miei animali di potere sostenermi in questo processo, possano padre cieli e madre terra guide sostenermi in questo processo.
Io resto un centro di coscienza consapevolezza e pura volontà.
Io ho un corpo ma io non sono il mio corpo, il mio corpo, invecchia, cresce si ammala ma poi guarisce, deperisce e poi rinvigorisce… quindi il mio corpo cambia a differenza del mio senso del Io che tende a essere permanente, immutato, durante tutto il corso della vita. E allora questa differenza tra il mio io permanente e il mio corpo non mi può che farmi giungere a una conclusione: io ho un corpo ma io non sono il mio corpo.
Io ho delle emozioni ma io non sono le mie emozioni, le emozioni sono mutevoli… si succedono si alternano… prima posso sentire la rabbia e poi la quiete, prima noia e poi la gioia.
Questo mi fa capire che io posso osservare le emozioni e prendere distacco da esse… a differenza del mio senso dell’io, che è permanente, le emozioni sono mutevoli. Per cui io non posso essere esse. Io non sono le mie emozioni, io ho delle emozioni ma io non sono le mie emozioni.
Io una mente, la mente è affollata di pensieri a volte, altre volte è più quieta… Questi pensieri certe volte possono sembrare miei, altre volte invece possono non sembrare miei.
Spesso mi identifico con questi pensieri ma poi essi cessano, si alternano e fuggono… come le emozioni stesse; per cui così come io non sono le mie emozioni io non posso essere nemmeno i miei pensieri, né la mia mente nè il suo contenuto perché io posso osservare tutti quanto e rendermi conto che il mio senso dell’Io resta e permane a prescindere dal resto. Allora forse sono i miei ruoli, le mie relazioni che mi identificano con ciò che sono? no poiché il mio essere lavoratore, il mio assumere una specifica carica pubblica o privata, il mio avere una relazione con una persona può comunque cessare.
Posso essere amico di una persona per anni, per una vita e poi con l’amicizia cessa.
Posso ricoprire una funzione pubblica per anni e poi quella funzione cessa. E allora io non sono né i miei ruoli né le mie relazioni, che per quanto più stabili e durature di emozioni, sentimenti e pensieri sono anch’esse fugaci tanto quanto il senso del mio io, tanto quanto il senso del mio io…
Allora io che cosa sono se tolgo le funzioni, i ruoli, le emozioni, i pensieri e il corpo …cosa sono al di là di ciò? denudandomi resta solo una cosa. Un centro di autocoscienza consapevolezza e pura volontà e il mio essere un praticante di sciamanesimo non è altro che essere un canale per la volontà dell’universo, per il mondo degli spiriti. E quindi anche il mio assolvere il ruolo di praticante, di sciamanesimo non porta al buio non porta fama, non porta nulla di permanente perché così come mi sia data la possibilità di comunicare con il mondo degli spiriti mi puà essere tolta.
E io permango a prescindere da ciò.
Io resto un centro di coscienza consapevolezza e pura volontà.
Come avete visto e sentito alla fine ho inserito anche con la parte di sciamanesimo utile per ai praticanti dello sciamanesimo, soprattutto per coloro che avessero trappole dell’orgoglio spirituale. È una cosa che non ho mai sentito mia personalmente, però molti ci cascano: la convinzione di essere dotato di poteri particolari che ti mettano al di sopra degli altri in realtà noi siamo al di sotto degli altri (n.d.a inteso come atto di umiltà non di mancanza di autostima).
Nel momento in cui ci è stato dato la possibilità di ricevere dalle nostre guide spirituali l’informazione, questa informazione è per qualcun altro; è per la sua crescita, per la nostra crescita, per la sua guarigione spirituale. Quindi non c’è proprio nulla di cui essere vanitosi.
È importante però ricordare una cosa: io ho introdotto alcune variabili nell’esercizio identificazione. Scegliete voi se utilizzare la prima parte quella esattamente dal libro o la seconda parte quella utilizzata da me, o formulare un vostro concetto, un vostro uso, una vostra formulazione. Assagioli non parla però di centro di coscienza, consapevolezza e pura volontà, lui cita solo due voci. La terza stata introdotta da me, come potete osservare confrontando i due esercizi: quello del libro è quello proposto da me. Quindi ribadisco, io la sento molto così, molto mia, così funziona bene per me e per le persone con cui lavoro ma siate liberi di fare ciò che più desiderate. Come sempre dico: io non sono un maestro, io non sono un insegnante, sono solo qui per aiutarmi e aiutarvi a procedere lungo il nostro cammino.
Buone riflessioni, buona autoidentificazione, buona identificazione nel vostro sè o Io come lo chiamava Assagioli; e buona disidentificazione parziale del vostro ego e ricordate che per Assagioli l’ego, anzi gli ego, erano una risorsa e anche per me!
Gli Ego sono una risorsa che non va né abbandonata nei tralasciato né dissolta, né superata ma di questo ne parleremo in un altro video…
Nota: il testo potrebbe avere ricevuto piccoli modifiche in relazione al video, con l’unico obiettivo di essere reso più fruibile e scorrevole all’utenza web rispetto al dialogo originario.
Ciao coach per caso lei è esperto anche di ricapitolazione?
Ciao Fabio, pur conoscendolo e avendo sperimentato le tecniche più volte con risultati, non amo particolarmente il percorso Tolteco. A volte la Ricapitolazione la pratico ma non mi ritengo un esperto.